Italiamobile: benvenuti dove tramontano i satelliti
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In questi momenti in cui viaggiamo senza rete, come quando ci ritroviamo sospesi sulle bretelle autostradali e stiamo andando da un punto x a un punto y.
Perché passiamo la nostra vita in macchina, e scendiamo lungo periferie tutte uguali, a incontrare ciascuno il suo ragioniere commercialista, il suo responsabile del marketing, ciascuno mangiando il suo panino "con dentro la sua bella cotoletta", ciascuno cercando di convincere l'altro a comprare la cosa che gli farà vendere un'altra cosa a qualcun altro ancora. Perché c'è una mole immane di lavoro minuto da svolgere: ci sono fatture, bolle d'accompagnamento, listini prezzi da aggiornare, c'è da calcolare il ricarico; o magari c'è da leggere la recensione dell'articolo di un canadese sul Parmenide di Platone, perché, finalmente, non c'è più alcuna differenza fra una bolla d'accompagnamento e il Parmenide di Platone.
C'è una mole immane di lavoro minuto che ci chiede di spostarci in continuazione da x a y. Però non stiamo male, e non soffriamo: il tempo che abbiamo da vivere non è peggiore di quello toccato in sorte a coloro che erano venuti prima.
Di casello in casello, di hop in hop lungo le tracce dei router, sappiamo che non è ancora questo il tempo delle cose ultime, perché ce ne sarà ancora. È solo che la distanza fra me e te, fra x e y, non era mai stata più lunga: per quanto i nostri mezzi siano velocissimi, le nostre parole sono ormai troppo indirette.
Qualcuno con un nome, diciamo che si chiami AT o @ per gli amici, aspetta di avere nostre notizie da qualche parte
nell'italiamobile o molto più lontano. Diciamo che sono passati 1248 millisecondi e che abbiamo fatto il giro del mondo per parlare con lui: da Livorno a Milano, da Milano in Svezia, chissà perché, e poi da qualche altra parte in Europa e poi, e poi. E poi siamo arrivati, ma sono passati 1248 millisecondi, o quei due millenni in cui l'uso costante delle parole ha finito per logorarne i significati. Siamo arrivati prestissimo, eppure era già troppo tardi e non abbiamo più molto da dire al nostro @.
C'è invece un immane lavoro minuto da svolgere: + 5 volt, -5 volt, byte su byte, si e no, si e no. C'è da rispondere ai test della psicologa, c'è da rispondere bene e in fretta. C'è da vedere se abbiamo attitudine per l'immane mole di lavoro minuto che dobbiamo svolgere.
Nel tempo libero possiamo sempre comprarci una Harley Davidson e vestirci di pelle, possiamo fingere di credere nella rivoluzione, dedicarci alle filosofie indiane, alla new age, possiamo interessarci ai fiori di bach, ascoltare la musica celtica, organizzare un viaggio in Patagonia insieme ad altri cinquantamila Bruce Chatwin trovati in un news group. Nessuno ce lo proibisce. Perché possiamo fare un sacco di belle cose, se solo ce ne viene la voglia.
Tanto, comunque, quello che siamo è "niente nessuno in nessun luogo mai", come una volta scrisse Vittorio Sereni, a cui, idealmente e fra gli altri, questo disco è dedicato. Perché è di un disco che stiamo parlando: una cosa da vendere in qualche modo a qualcun altro, con un ricarico minimo, eppure si spera, sufficiente a farne un altro domani.
Forse non è così che si parla di musica, lo sappiamo. Ma ci piaceva per una volta, dire quelle cose che non si riescono a dire a un giornalista.
E chissà se il cliente che abbiamo più volte desiderato è al momento raggiungibile o se anche lui si è perso lungo la dorsale dell'italiamobile, in una di quelle tipiche notti dove riecheggiano le sgommate degli imbecilli, e la televisione, che non dorme mai, ci mostra quintali di carne disponibile a farsi consumare in teleselezione.
Vi salutiamo tutti, con l'espressione laconica che si ricava dagli scontrini fiscali.
(x Virginiana Miller) Simone Lenzi
Testo reperibile anche nella fanzine dei LULA
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