L E I N T E R V I S T E
Massimo Cominotto rappresenta una piacevole eccezione nel panorama dance italiano. Personalità poliedrica, carattere polemico nei confronti dei legislatori che vorrebbero uccidere il mondo della notte, giornalista professionista iscritto all'Albo, amante della pittura del '900, si definisce egli stesso un "pessimista convinto". Artefice di un sound esplosivo, di una techno sovraccarica di BPM (battute al minuto), è probabilmente l'unica persona al mondo che per recensire un disco fa una riflessione sul gravoso problema della fame del Terzo Mondo. Iniziamo la nostra conversazione - che si rivelerà molto celebrale - proprio da lui...
"Secondo me sarebbe inutile spiegare com'è costruito un disco. Se dico com'è fatto, che tipo di percussione si è usata, al lettore non potrebbe fregargliene di meno.
Quando ascolti un disco, è interessante avere un'emozione e, siccome un giornale può essere letto ma non ascoltato, cerco di spiegare il disco recensito tramite un concetto che esprima quella precisa emozione".
    Come hai iniziato a fare il Dj?
Ho cominciato - ma non me ne vergogno - in un club stracommerciale dove gestore, che in un primo momento pensavo fosse un deficiente, mi imponeva di far ballare la gente. Questo gestore in realtà sapeva il fatto suo: ho imparato che fare il lavoro di Dj comporta anche avere uno stile, che bisogna cercare di fare apprezzare al pubblico del dancefloor. È come far vedere Guernica di Picasso ad un contadino... è difficile che lo apprezzi. perché per tutta la vita ha solo zappato. Questo significa che si sta sbagliando il linguaggio, il quale deve essere compreso da tutti, pur nell'impronta personale che uno gli dà.
Il linguaggio della musica si evolve on una rapidità impressionante, quindi bisogna sempre aggiornarlo. Quando un Dj suona, non deve porsi né troppo avanti né troppo in dietro rispetto alla maturità del suo pubblico: bisogna porsi al passo con i tempi ed evitare prodotti troppo futuristici o troppo revival, che solitamnte la gente snobba. In questo periodo storico, che è molto delicato, bisogna cercare di farsi comprendere.
    Come definiresti la tua musica?
La mia è musica elettronica, è un sound globale. È essurdo indirizzarsi verso un unico genere: l'ideale - anche se oggi non è possibile - è proporre, in un'unica serata, un po' di tutto, magari anche della jungle o qualcosa di breakbeat. Il problema è che, al giorno d'oggi, si pensa che la discoteca sia un luogo adibito unicamente al ballo. Se il pubblico non balla, pensa automaticamente che la musica faccia schifo. Manca una formazione culturale per poterla anche ascoltare, la musica! La gente che va in discoteca adora ancora troppo il ritmo in 4/4, la "cassa dritta", che io definisco il succo della tribalità perché il primo uomo che si è messo a battere il tempo con un pezzo di legno su una pietra, sicuramente non faceva ritmiche spezzate (breakbeat) o rullate.
    Qual'è il tuo pubblico ideale?
Adoro la gente che vuole divertirsi, socializzare, conoscere donne, passare una serata in allegria. In generale preferisco le persone aperte ad un determinato tipo di "contaminazione culturale", che avviene attraverso la musica. La musica può realizzare un'apertura verso il nuovo.
    Quali sono i dischi che ti hanno cambiato la vita?
Il primo disco che ho comprato che è stato Flash dei Duke of Barlington, un gruppo degli anni '60 spacciato per inglese, ma di nazionalità italiana ...qualcosa di sconvolgente! Poi, Psyche Rock di Michelle Henry, autore che precede la musica elettronica tedesca degli anni '70. Ho amato James Brown, che per me rappresenta la rivoluzione, e i Kraftwerk di Trans Europe Express. Una cosa strana è che mi piace tantssimo la discomusic degli anni '70: Chic, Jimmy Bono, KC and the Sunshine Band. Apprezzo anche la musica brasiliana e quella afro.
    La techno e l'house stanno sostituendo il pop ed il rock nei gusti musicali dei giovani. Quale sarà la musica del futuro? Ci sarà uno sviluppo dei suoni elettronici oppure una riscoperta delle chitarre rock?
Secondo me, purchè sia ben fatto il prodotto, va bene qualsiasi tipo di musica. Giorni fa ho vosto, a Riccione, un concerto dei Les Tambours du Bronx, collettivo francese di una trentina di persone-non musicisti che suonavano su semplici fusti di latta. Sono rimasto esterrefatto nel cercar di capire la difficoltà di esecuzione dei loro brani, che consisteva nel sincronizzare il tempo di battuta di trenta elementi, cosa secondo me non facile. Un gruppo del genere non si esprime né con un rapporto acustico, né con uno elettronico. Come catalogarli? Posso solo trovare un'analogia visiva con le grigie periferie disegnate da Mario Sironi ...Quella è "musica metropolitana".
Intervista di Emanuele Salvini
|