L E I N T E R V I S T E
Vittorio "Tolo" Marton, classe 1951, ha recentemente vinto uno dei più prestigiosi concorsi per chitarristi al mondo, il "Jimi Hendrix International Guitar Contest", tenutosi a Seattle. Fondendo blues, rock, jazz e pura invenzione, il chitarrista trevigiano ha sbaragliato tutti gli avversari. In un'intervista esclusiva abbiamo raccolto alcune sue idee e impressioni.
    Sarai forse stanco di parlarne, ma stupisce ancora che un italiano possa avere vinto il "Jimi Hendrix International Guitar Contest". Cos'ha Tolo Marton più degli altri 13.000 chitarristi che hanno partecipato al concorso?
È più facile dire quello che non ho. Non ho messaggi da dare, non ho voglia o necessità di chiamare ospiti importanti, ho poca diplomazia con le persone che contano nello spettacolo: li tratto alla pari, perché penso che tutti devono fare il loro lavoro, se lo sanno fare, e tutti abbiamo bisogno gli uni degli altri. Quello che ho in più potrebbe essere chiesto alla giuria di Seattle.
    Una vittoria sudata la tua, venuta dopo anni di duro lavoro. In un mondo che impone di arrivare al successo da giovanissimi, tu cosa ti sentiresti di dire a chi, malgrado lo studio e l'impegno, giunto alla soglia dei trenta o quarant'anni non sia ancora riuscito ad emergere?
Consiglierei di guardarsi dentro con sincerità, e capire il motivo per cui si suona: se è un vero bisogno, pressoché quotidiano, gli direi di continuare. Se, invece, lo fa per essere qualcuno, è meglio che smetta.
    Quanto pesano rispettivamente nel suo stile musicale la perfezione tecnica, la ricerca del suono e il feeling?
Sono tutte e tre cose molto importanti che vanno, in qualche modo, di pari passo. La tecnica conta molto soprattutto perché; ti dà gli strumenti per dire ciò che senti. E poi, se vuoi fare musica senza concessioni al mercato, allora non puoi permetterti di essere un mediocre. Il suono è pure importante, ma non può mascherare la povertà di idee; una buona idea è buona sempre, un buon suono può solo migliorarla. Il feeling, quindi, può esserci solo se, partendo da una buona idea, si riesce a reinterpretarla ogni volta nel modo migliore
    A tuo avviso, perché Tolo Marton è dovuto "emigrare" in America per ottenere i meritati riconoscimenti?
Perché siamo un popolo di esterofili, senza fiducia in noi stessi. Quasi tutti quelli che mi conoscono come musicista, mi hanno sempre apprezzato, ma "a bassa voce", perché sono italiano, di Treviso. Comunque non sono andato in America solo per "ottenere riconoscimenti", ma anche per mettermi alla prova e capire meglio la musica che mi piace.
    Osservando il panorama musicale Underground odierno della tua regione, che cosa vedi di differente rispetto a quando muovevi i tuoi primi passi con il gruppo dei Bardhali nel lontano 1968?
Allora, essere una "cover band" era normale; il principio, ora sembra quasi il punto di arrivo, un comodo punto di arrivo. Vedo anche delle differenze nel pubblico. Poteva succedere che ti fischiasse, e noi musicisti ne traevamo le dovute conclusioni.
    Per concludere. Perché un giovane musicista oggi dovrebbe mettersi a suonare blues?
Certamente io non sono tra quelli che lo dicono. Credo che il blues abbia fatto il suo tempo e detto quello che c'era da dire, ma se ancora un ragazzo o una ragazza, ascoltando Lightining Hopkins o Muddy Waters, dovesse rimanere folgorato, avesse un'"illuminazione", perché no?
Ma perché con me si parla sempre di blues? Non ne sono mai stato schiavo. La musica è varia.
Intervista di Enrico Mason
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